Contemplare in silenzio il mistero dell’Incarnazione

Il mistero dell’Incarnazione è il Natale: per opera dello Spirito Santo nacque Gesù – vero Dio fattosi vero uomo – nel grembo verginale di Maria . La Madonna rivolge il suo sguardo non su se stessa ma sul mistero della nascita e crescita di Gesù, sui fatti che gli capitavano e lo coinvolgevano. La Madonna non fa commenti, non pretende di dare spiegazioni a tutti, non cerca conforto e conferme da altri, pur essendo lei la Madre del Signore: tace, ascolta, medita nel suo cuore e contempla l’Amore di Dio fattosi Bambino che nel silenzio cresce “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.

“Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.” (Lc 1,28-31)

“Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.” (Lc 2,51-52)

L’ingresso di Gesù nella nostra vita è un grande mistero. Siamo così indegni e piccoli per un dono così grande e Santo. Come possiamo credere di saper tutto, di conoscere tutto, di dare consigli e spiegazioni al prossimo inorgogliendo così il nostro cuore? Se la Madonna ha taciuto pur essendo Immacolata e resa la più Santa di tutte le creature, con che animo parliamo di così grande mistero? Guardando alla Vergine Maria meditiamo nel silenzio del nostro cuore il mistero dell’Incarnazione per essere testimoni umili ed autentici.

Il tuo nome è grande ed esaltato a causa del tuo figlio.
Avresti certo potuto dirci come, in qual modo
e dove è dimorato in te il grande che si fece piccolo.
Beata la tua bocca che ha reso grazie senza indagare
e la tua lingua che ha dato lode senza scrutare.
Se già sua madre vacillava a suo riguardo, lei che lo portava,
chi potrebbe essergli all’altezza?
O donna che nessun uomo ha conosciuto,
come possiamo contemplare il figlio che hai generato?
Nessun occhio è in grado di sostenere
le trasformazioni della gloria che è su di lui.
Poiché lingue di fuoco dimorano in colui che,
alla sua ascensione, aveva inviato lingue,
ogni lingua stia in guardia:
il nostro scrutare è stoppia e il fuoco il nostro investigare.

Le parole di Sant’Efrem ci invitano al silenzio nella fede e nello stupore; il silenzio è il “luogo” della fede. Quasi un commento diventano le parole dell’amato Giovanni Paolo II nella sua Enciclica sulla Madonna:

Beata sei tu Maria (Sant’Efrem il Siro)

Beata sei anche tu Maria:

“Maria mediante la fede si è abbandonata a Dio senza riserve e “ha consacrato totalmente se stessa, quale ancella del Signore, alla persona e all’opera di Figlio suo”. E questo Figlio – come insegnano i Padri – l’ha concepito prima nella mente che nel grembo: proprio mediante la fede. […] Maria sa che il Figlio, da lei dato alla luce verginalmente, è proprio quel “santo”, “il Figlio di Dio”, di cui le ha parlato l’angelo. Durante gli anni della vita nascosta di Gesù nella casa di Nazaret, anche la vita di Maria è “nascosta con Cristo in Dio” mediante la fede. La fede infatti è il contatto col mistero di Dio. Maria infatti è costantemente, quotidianamente in contatto con l’ineffabile mistero di Dio che si è fatto uomo […]. Ella è la prima di quei “piccoli”, dei quali Gesù dirà un giorno: “Padre, … hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. […] Non è difficile però notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorte di “notte della fede” – per usare le parole di San Giovanni della Croce – quasi un “velo” attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. E’ infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù “cresceva in sapienza … e grazia davanti a Dio e agli uomini”.” (Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater n.13.17)

Nel silenzio per vedere, per decidere, per recidere

Spesso e volentieri fuggiamo il silenzio, preferendo rivolgere lo sguardo all’esterno di noi stessi. A volte riempiamo il silenzio con tante parole, anche quando preghiamo. La Parola di Dio deve prendere il posto delle nostre parole. Ascoltare la Parola di Dio è la chiave di ingresso per conoscere veramente sé stessi.

“Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell`anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v`è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.” (Eb 4,12-13)

I Santi sono coloro che hanno cercato, conosciuto e amato la Parola di Dio. Rientrando in sé stessi, nella propria coscienza, hanno visto quanto manca per essere graditi a Dio, e con coraggio e fiducia in Lui, hanno lasciato tutto ciò che era di peso e impedimento. Ciechi i parolai, peccatori senza sapere di esserlo, sempre impegnati a fuggire da sé stessi e da Dio.

“Poniamo che in una casa grande, piena di molti oggetti, vasi, pacchi entrino due individui: uno dalla vista sana e acuta, l`altro afflitto da qualche malanno agli occhi; certo costui che ha la vista troppo debole per vedere tutto, riterrà che non vi sia altro se non armadi, letti, sedie, tavoli, e tutto ciò che si presenta non tanto agli occhi di chi guarda, quanto alle mani di chi tocca. Al contrario l`altro, che con l`acutezza del suo sguardo penetra anche negli angoli più occulti, dirà che ivi si trovano moltissimi oggetti, anche piccolissimi, tanto che è difficile dirne il numero, così che se si ammucchiassero tutti insieme, con la loro quantità pareggerebbero la mole degli oggetti toccati dall`altro, o addirittura la supererebbero. Precisamente in questo modo i santi, i “vedenti”, per così dire, il cui primo pensiero è la perfezione, percepiscono con acutezza in se stessi anche ciò che lo sguardo ottenebrato della nostra anima non vede, e lo condannano con forza. Essi, che secondo la nostra superficiale valutazione non hanno mai offuscato la purezza della loro coscienza con la macchia di un piccolo peccato, vedono se stessi ricoperti di molte macchie… Ma noi, storditi dalla nostra stoltezza, e quasi colpiti da cecità, non vediamo in noi nulla, se non le colpe capitali e riteniamo di dover evitare solo ciò che anche le leggi secolari condannano severamente; e se ci sentiamo anche un po` solo immuni da ciò, subito crediamo che in noi non vi sia peccato. Ben lontani, dunque, dal numero dei “vedenti”, non vedendo le molte piccole macchie accumulate in noi, non siamo rimorsi da compunzione salutare quando la tristezza affligge il nostro spirito; non ci rincresce di venir mossi dalla suggestione sottile della vanagloria; non piangiamo che la nostra orazione è tiepida e tardiva; non riteniamo colpa tutto ciò che di diverso dall`orazione entra nella nostra mente durante la preghiera o il canto sacro; non tremiamo perché ciò che ci vergogniamo compiere o dire davanti agli uomini lo tratteniamo senza rossore nel nostro intimo, ben sapendo che è palese al divino cospetto; non laviamo con calde lacrime la sozzura dei sogni turpi; non piangiamo perché nella stessa elemosina, quando sovveniamo alle necessità dei fratelli o distribuiamo cibo ai poveri, l`avarizia obnubila la nostra serenità; e non crediamo di soffrire danno quando, dimenticandoci di Dio, pensiamo alle realtà temporali e corporee.” (Giovanni Cassiano, Conferenze spirituali XXIII,6-7)

Per fare un fruttuoso cammino per riconoscere il bene e rifiutare il male, seppur indispensabile non è sufficiente la nostra coscienza, come non basta da sola la Parola di Dio, è indispensabile lasciarsi guidare dall’insegnamento della Chiesa Cattolica che interpreta fedelmente la Parola di Dio.

Ai pericoli della deformazione della coscienza allude Gesù quando ammonisce: “La lucerna del corpo è l’occhio, se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il corpo sarà nella luce, ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tua tenebra” (Mt 6,22-23) […] Un grande aiuto per la formazione della coscienza i cristiani l’hanno nella Chiesa e nel suo Magistero, come afferma il Concilio: “I cristiani … nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa Cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare ed insegnare in modo autentico la verità che è Cristo…” […] la chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola ad non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini… (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor n.63-64)

In silenzio per convertirsi ai piedi della Croce

“I passanti lo insultavano e scuotendo il capo, esclamavano: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”. Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: “Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni? che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia! “. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.” (Mc 15,23-37)

“Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dá salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.” (Isaia 53,2-5)

Ai piedi della Croce rimaniamo in silenzio, non vinti dalla paura ma vinti dall’amore di Gesù. Vogliamo anche noi partecipare al suo amore, vogliamo anche noi, in silenzio portare la croce che Gesù ha pensato per ciascuno di noi.

“Carissimi: nell’approssimarsi della solennità della Pasqua, inizia il tradizionale digiuno che la precede, per impegnarci nel periodo di quaranta giorni alla santificazione del corpo e dello spirito. Vicini come siamo a celebrare la festa più grande di tutte, dobbiamo prepararci con una condotta di vita che ci faccia partecipi della passione e morte di Colui che nella resurrezione del quale anche noi siamo risorti, come dice il beato apostolo Paolo: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria (Col 3,3-4). Ma quale è la nostra partecipazione con Cristo, se non cessiamo di essere ciò che fummo una volta? O quale rassomiglianza con la sua resurrezione, se non ci spogliamo della nostra vecchia condotta (Rom 6,5-6)? Ne deriva che se uno comprende il mistero della sua redenzione, deve liberarsi dai vizi della carne ed eliminare tutte le impurità dei peccati, in modo che quando si accosterà al convito nuziale sia rivestito di splendenti virtù (Mt 22,9-12). […] alcuni invece abusano della pazienza di Dio (Rom 2,4) e, pur non avendo la coscienza libera, si fanno tranquilli perché da lungo tempo sono rimasti impuniti, mentre il castigo è solo rimandato perché abbiano il tempo di emendarsi. […]. Certamente non è identico per tutti il motivo che lo fa chiedere, perché c’è differenza tra un peccato e un altro, tra un delitto e un altro, per molteplici circostanze e per differenti livelli di gravità. Ma poiché tutti quanti i fedeli devono tendere a una completa assenza di colpa e a una totale purità, se vogliono meritare di entrare nel numero di coloro dei quali è detto: “Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio” (Mt 5,8), occorre che si sforzino con tutta l’assiduità e il vigore di cui sono capaci a rimuovere con le più accurate purificazioni ciò che macchia l’interiorità della coscienza, tutto ciò che appanna lo sguardo dello spirito.” (San Leone Magno, Sermone 37,1-6 Sul digiuno quaresimale)

Sono almeno due i frutti che scaturiscono dal vivere in silenzio ai piedi della Croce di Gesù: il primo è la conversione, come dice San Leone Magno, che resta un atteggiamento interiore quotidiano perché sempre dobbiamo vivere in perenne conversione; il secondo è voler partecipare alle sofferenze di Gesù per la salvezza delle anime, come ci insegna Giovanni Paolo II.

“Ad ogni modo Cristo si è avvicinato soprattutto al mondo dell’umana sofferenza per il fatto di aver assunto egli stesso questa sofferenza su di se’. Durante la sua attività pubblica provò non solo la fatica, la mancanza di una casa, l’incomprensione persino da parte dei più vicini, ma, più di ogni cosa, venne sempre più ermeticamente circondato da un cerchio di ostilità e divennero sempre più chiari i preparativi per toglierlo di mezzo dai viventi. Cristo è consapevole di ciò, e molte volte parla ai suoi discepoli delle sofferenze e della morte che lo attendono[…] Cristo va incontro alla sua passione e morte con tutta la consapevolezza della missione che ha da compiere proprio in questo modo. Proprio per mezzo di questa sua sofferenza egli deve far sì “che l’uomo non muoia, ma abbia la vita eterna”. Proprio per mezzo della sua Croce deve toccare le radici del male, piantate nella storia dell’uomo e nelle anime umane. Proprio per mezzo della sua Croce deve compiere l’opera della salvezza. Quest’opera, nel disegno dell’eterno Amore, ha un carattere redentivo.” (Giovanni Paolo II Salvifici Doloris 4,16-17)

Tutti noi siamo chiamati a partecipare alle sofferenze di Gesù “perché l’uomo non muoia ma abbia la vita eterna”. Come ha fatto la Madonna in tutta la sua vita fino al sommo dolore ai piedi della croce. Il soffrire con Gesù e per Gesù esige silenzio… non ci sono parole che possano rendere partecipi o esprimere il dolore… non si può amare la Croce a parole!

Ascoltare lo Spirito Santo: nel silenzio, docili alle sue ispirazioni

Lo Spirito Santo è il dono in Persona promesso da Gesù ai suoi discepoli per essere rafforzati e consolati nello spirito: “Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.” Gv 16,6-7 “Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi.” At 2,3-4. Lo Spirito Santo da coraggio ai cristiani per essere testimoni di Gesù davanti a chi non crede e non lo conosce. E’ la Chiesa Cattolica che rende testimonianza con la forza dello Spirito. Sottomettersi all’Amore di Dio, con docilità allo Spirito Santo, costituisce quell’unione dei fratelli e delle sorelle in Cristo Gesù che è la Chiesa: “Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza” At 4,31 “E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui”. At 5,32. Nella preghiera silenziosa, piena dell’Amore di Dio, lo Spirito Santo viene in soccorso alla nostra debolezza e guida la nostra preghiera verso il volere di Dio: “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. (Rom 8,26-27). Non tutte le ispirazioni che sentiamo dentro di noi provengono da Dio, occorre chiedere consiglio e aiuto per discernere le buone dalle cattive: “Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo.” 1Gv 4,1. Anche nelle difficoltà e nelle persecuzioni, far tacere i propri ragionamenti e giudizi per mettersi in ascolto dello Spirito Santo è quello che il buon cristiano impara a fare: “Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire”. Lc 12,11-12.

Sant’Agostino ci spiega in cosa consiste la differenza tra il “gemere” spirituale della Colomba e il “gracchiare” del Corvo: “Lo Spirito Santo geme in noi, perché fa gemere noi. Non è cosa da poco che lo Spirito ci insegna a gemere: ci fa capire così che siamo pellegrini, ci insegna a sospirare verso la patria, e per questo desiderio ci fa gemere. Chi invece si trova bene in questo mondo, o meglio crede di starvi bene, chi esulta nelle cose della carne e nell`abbondanza dei beni terreni, e della felicità menzognera, costui ha la voce di un corvo; e il corvo gracchia, non geme. Ma colui che conosce il peso opprimente della natura mortale e sa di peregrinare lontano dal Signore e di non possedere ancora quella beatitudine eterna che ci è stata promessa (la possiede con la speranza, ma l`avrà realmente quando il Signore, dopo la sua venuta nel nascondimento dell`umiltà, verrà nella luce della sua gloria), colui che sa tutto questo, geme. E finché geme per questo, santamente geme: è lo Spirito che gli insegna a gemere, dalla colomba ha imparato a gemere. Perché molti, infatti, gemono a causa dell`infelicità terrena, perché squassati dalla sfortuna, o gravati oltre ogni modo dalle malattie, perché chiusi in carcere, o avvinti in catene, o sbattuti dai flutti del mare; circondati dalle invidie dei loro nemici, gemono. Ma non gemono, costoro, con il gemito della colomba, non gemono per amore di Dio, non gemono nello Spirito. Perciò, appena liberati da tutte queste tribolazioni, niente sarà più rumoroso della loro gioia, lasciando vedere che sono corvi, non colombe.” (Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 6,2).

Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Enciclica sullo Spirito Santo che tutti noi dovremmo leggere e conoscere. Citiamo un breve passo, che ci spiega in cosa consiste la vera vita spirituale, che è la vita nello Spirito nella Chiesa Cattolica: “Il mistero della Risurrezione e della Pentecoste è annunciato e vissuto dalla Chiesa, che è l’erede e la continuatrice della testimonianza degli apostoli circa la risurrezione di Gesù Cristo. Essa è la testimone perenne di questa vittoria sulla morte, che ha rivelato la potenza dello Spirito Santo e ha determinato la sua nuova venuta, la sua nuova presenza negli uomini e nel mondo. […] E in nome della risurrezione di Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in stretta unione ed in umile servizio allo Spirito. Proprio per questo servizio l’uomo diventa in modo sempre nuovo la “via della Chiesa” […] Unita con lo Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro della realtà dell’uomo interiore, di ciò che nell’uomo è più profondo ed essenziale, perché spirituale ed incorruttibile. A questo livello lo Spirito innesta la “radice dell’immortalità”, dalla quale spunta la nuova vita: cioè, la vita dell’uomo in Dio […] Perciò, l’Apostolo si rivolge a Dio in favore dei credenti, ai quali dichiara: “Piego le ginocchia davanti al Padre…, perché vi conceda… di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore”. Sotto l’influsso dello Spirito Santo matura e si rafforza quest’uomo interiore, cioè “spirituale”. […] Per il dono della grazia, che viene dallo Spirito, l’uomo entra in “una vita nuova”, viene introdotto nella realtà soprannaturale della stessa vita divina e diventa “dimora dello Spirito Santo”, “tempio vivente di Dio”. Per lo Spirito Santo, infatti, il Padre e il Figlio vengono a lui e prendono dimora presso di lui. Nella comunione di grazia con la Trinità si dilata l’”area vitale” dell’uomo, elevata al livello soprannaturale della vita divina. L’uomo vive in Dio e di Dio: vive “secondo lo Spirito” e “pensa alle cose dello Spirito”. (Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem 58)

Il silenzio operoso e amorevole di Maria

La Madonna pur essendo a tutti gli effetti Madre di Dio, con atteggiamento umile e amorevole, come madre di famiglia si mette al servizio di un’altra famiglia: “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. (Lc 1,39-45)
La Serva del Signore, nel silenzio operoso, si mette al servizio della grande famiglia spirituale che è la Chiesa degli Apostoli e dei discepoli. Ci insegna ad essere presenti per servire il Signore Gesù nella comunità cristiana, che dopo la famiglia è il luogo dove vivere e crescere nella fede: “Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui. (At 1,12-14)

 

Così Sant’Ambrogio, Padre della Chiesa e Vescovo di Milano nel IV secolo, commenta la Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta: “L`angelo che annunziava un mistero disse alla Vergine Maria, per aiutarla a credere per mezzo di un segno, che una donna anziana e sterile stava per diventare madre, mostrando in questo modo che Dio può tutto ciò che vuole. Maria, appena udito questo, non già perché non credesse alla profezia, o fosse incerta sull`autorità di chi l`aveva fatta, o dubitasse della prova addotta, ma, come portata dal desiderio, tutta slancio e dedizione, nella sollecitudine che scaturisce dalla gioia, si diresse verso la regione montana. Poteva dunque non correre verso l`alto, Maria, piena ormai di Dio? […] E subito si manifestano i benefici dell`arrivo della Vergine e della presenza del Signore. Perché, appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le esultò nel seno ed ella fu ricolma di Spirito Santo (Lc 1,41). […] Il bambino esultò e la madre fu ripiena di Spirito Santo. La madre però non fu ripiena prima del figlio, ma anzi, essendo il figlio pieno di Spirito Santo, ne colmò anche la madre. Giovanni ha esultato e ha esultato anche lo spirito di Maria. E, all`esultanza di Giovanni, Elisabetta è ripiena di Spirito Santo… Beata tu che hai creduto (Lc 1,45). Ma anche voi siete beati, perché avete udito e creduto. Ogni anima che crede, concepisce e genera la parola di Dio, riconoscendone le opere. Che in ciascuno di voi ci sia l`anima di Maria, per glorificare il Signore; ci sia lo spirito di Maria per trasalire di gioia in Dio. Se una sola è madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede invece Cristo è generato da tutti. Ogni anima infatti riceve il Verbo di Dio in sé, purché, senza macchia né colpa, sappia conservare coraggiosamente la propria castità. Perciò chiunque sa comportarsi così magnifica il Signore come l`anima di Maria lo ha magnificato, mentre il suo spirito esultava in Dio suo salvatore.” (Ambrogio, Commento al vangelo di san Luca 2,19-23.26-27)

La Madonna è Madre della Chiesa e Madre delle famiglie cristiane. Si prede cura di ciascuno di noi per portarci a Gesù. Il giovane ragazzo ai piedi della croce è colui che alla scuola spirituale di Maria diventerà San Giovanni Apostolo ed Evangelista. Leggiamo le parole di Giovanni Paolo II, innamorato della Madonna e grande apostolo dei giovani e delle famiglie: “Dopo gli eventi della risurrezione e dell’ascensione, Maria, entrando con gli Apostoli nel cenacolo in attesa della pentecoste, era presente come Madre del Signore glorificato. Era non solo colei che “avanzò nella peregrinazione della fede” e serbò fedelmente la sua unione col Figlio “sino alla Croce”, ma anche la “serva del Signore”, lasciata da suo Figlio come madre in mezzo alla Chiesa nascente: “Ecco la tua madre”. Così cominciò a formarsi uno speciale legame tra questa Madre e la Chiesa. La Chiesa nascente era, infatti, frutto della Croce e della risurrezione del suo Figlio. Maria, che sin dall’inizio si era donata senza riserve alla persona e all’opera del Figlio, non poteva non riversare sulla Chiesa, sin dal principio, questa sua donazione materna.” (Giovanni Paolo II, Redemtoris Mater 40)

“Il magistero del Concilio ha sottolineato che la verità sulla Vergine Santissima, Madre di Cristo, costituisce un sussidio efficace per l’approfondimento della verità sulla Chiesa. Lo stesso Paolo VI, prendendo la parola in merito alla costituzione Lumen Gentium, appena approvata dal Concilio, disse: “La conoscenza della vera dottrina cattolica sulla Beata Vergine Maria costituirà sempre una chiave per l’esatta comprensione del mistero di Cristo e della Chiesa”. Maria è presente nella Chiesa come Madre di Cristo, ed insieme come quella Madre che Cristo, nel mistero della redenzione, ha dato all’uomo nella persona di Giovanni apostolo. Perciò, Maria abbraccia, con la sua nuova maternità nello Spirito, tutti e ciascuno nella Chiesa, abbraccia anche tutti e ciascuno mediante la Chiesa. In questo senso Maria, Madre della Chiesa, ne è anche modello. La Chiesa infatti, come auspica e chiede Paolo VI, “dalla Vergine Madre di Dio deve trarre la più autentica forma della perfetta imitazione di Cristo”. […] i cristiani, innalzando con fede gli occhi a Maria lungo il loro pellegrinaggio terreno, “si sforzano ancora di crescere nella santità”. Maria, l’eccelsa figlia di Sion, aiuta tutti i suoi figli – dovunque e comunque essi vivano – a trovare in Cristo la via verso la casa del Padre. Pertanto, la Chiesa, in tutta la sua vita, mantiene con la Madre di Dio un legame che abbraccia, nel mistero salvifico, il passato, il presente e il futuro e la venera come madre spirituale dell’umanità e avvocata di grazia.” (Giovanni Paolo II, Redemtoris Mater 47)

Con Maria far tacere liberamente la propria volontà obbedendo a Dio

Anche gli insegnamenti di Gesù su come pregare Dio Padre mettono in evidenza l’importanza fondamentale di cercare, conoscere e fare la volontà di Dio: “Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre.” (Mt 12,50) “Gesù disse loro: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.” (Gv 4,34) “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.” (Mt 7,21) “Chi vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso.” (Gv 7,17) “Per questo dico, io piego le ginocchia davanti al Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome.” (Ef 3,14-15)

La nostra volontà quando è legata al peccato, si contrappone alla volontà di Dio. E’ un conflitto interiore che diventa un pungolo della grazia di Dio che ci invita alla conversione; in altre parole lo Spirito Santo ci invita ad aderire alla volontà di Dio Padre con la piena fiducia nella sua Bontà, imitando così il Figlio suo e nostro Signore Gesù Cristo. Sant’Agostino così ci racconta la sua esperienza: “Ero impacciato non dai ferri della volontà altrui, ma della ferrea volontà mia. Il nemico deteneva il mio volere e ne aveva foggiato una catena con cui mi stringeva. Sì, dalla volontà perversa si genera la passione, e l`obbedienza alla passione genera l`abitudine, e l`acquiescenza all`abitudine genera la necessità. Con questa sorta di anelli collegati fra loro, per cui ho parlato di catena, mi teneva avvinto una dura schiavitù. La volontà nuova, che aveva cominciato a sorgere in me, volontà di servirti gratuitamente e goderti, o Dio, unica felicità sicura, non era ancora capace di soverchiare la prima, indurita dall`anzianità. Così in me due volontà, una vecchia, l`altra nuova, la prima carnale, la seconda spirituale, si scontravano e il loro dissidio lacerava la mia anima. L`esperienza personale mi faceva comprendere le parole che avevo letto, come le brame della carne siano opposte allo spirito, e quelle dello spirito alla carne (Gal 5,17). Senza dubbio ero io nell`uno e nell`altra […]I miei pensieri, le riflessioni su di te, assomigliavano agli sforzi di un uomo, che malgrado l`intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore. E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l`ora di alzarsi; così io ero sì persuaso della convenienza di concedermi al tuo amore anziché cedere alla mia passione; ma se l`uno mi piaceva e vinceva, l`altra mi attraeva e avvinceva. Non sapevo cosa rispondere a queste tue parole: Levati, tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà (Ef 5,14); dovunque facevi brillare ai miei occhi la verità delle tue parole, ma io, pur convinto della loro verità, non sapevo affatto cosa rispondere, se non, al più, qualche frase lenta e sonnolenta: “Fra breve”, “Ecco, fra breve”, “Attendi un pochino”. Però quei “breve” e “breve” non avevano breve durata, e quell`”attendi un pochino” andava per le lunghe. […] Chi avrebbe potuto liberarmi, nella mia condizione miserevole, da questo corpo mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo, Signore nostro (Rm 7,24-25)? (Agostino, Le Confessioni 8,5)

La Madonna è superiore a tutti i santi, Immacolata perché preservata dal peccato originale, piena di Grazia per il compito ricevuto di essere la Madre di Dio, ha conformato tutta se stessa, in piena e fiduciosa obbedienza alla volontà del Padre unendosi al sacrificio del Figlio sino ai piedi della croce: “Tale benedizione raggiunge la pienezza del suo significato, quando Maria sta sotto la Croce di suo Figlio (Gv19,25). Il Concilio afferma che ciò avvenne “non senza un disegno divino”: “Soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata”, in questo modo Maria “serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce”: l’unione mediante la fede, la stessa fede con la quale aveva accolto la rivelazione dell’angelo al momento dell’annunciazione […] Il suo Figlio agonizza su quel legno come un condannato. “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori…; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima”: quasi distrutto (Is53,3). Quanto grande, quanto eroica è allora l’obbedienza della fede dimostrata da Maria di fronte agli “imperscrutabili giudizi” di Dio! Come “si abbandona a Dio” senza riserve, “prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” a colui, le cui “vie sono inaccessibili” (Rm11,33). Ed insieme quanto potente è l’azione della grazia nella sua anima, come penetrante è l’influsso dello Spirito Santo, della sua luce e della sua virtù! […] Ai piedi della Croce Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione. […] là si sono adempiute le parole da lui rivolte a Maria: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.[…] Così insegnano i Padri della Chiesa e specialmente sant’Ireneo, citato dalla costituzione Lumen Gentium: “Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità la vergine Maria sciolse con la fede”. Alla luce di questo paragone con Eva i Padri – come ricorda ancora il Concilio – chiamano Maria “madre dei viventi” e affermano spesso: “La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria”. A ragione, dunque, nell’espressione “Beata colei che ha creduto” possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l’intima realtà di Maria: di colei che l’angelo ha salutato come “piena di grazia”. Se come “piena di grazia” ella è stata eternamente presente nel mistero di Cristo, mediante la fede ne divenne partecipe in tutta l’estensione del suo itinerario terreno: “avanzò nella peregrinazione della fede”, ed al tempo stesso, in modo discreto ma diretto ed efficace, rendeva presente agli uomini il mistero di Cristo. E ancora continua a farlo. E mediante il mistero di Cristo anch’ella è presente tra gli uomini. Così mediante il mistero del Figlio si chiarisce anche il mistero della Madre. (Giovanni Paolo II, Redemtoris Mater 18-19)

 Saper fare silenzio per ascoltare l’altro

La capacità d’ascolto richiede silenzio. Fare silenzio non solo con le parole ma più ancora con il cuore, incentrando l’attenzione sull’altro e non su noi stessi. Fare silenzio significa ascoltare l’altro senza giudicare e senza sentirsi giudicati, senza pensare a cosa dire o a cosa rispondere mentre l’altro parla.

“Non ho ascoltato la voce dei miei maestri, non ho prestato orecchio a chi m’istruiva.” (Pr 5,13) “Lo stolto giudica diritta la sua condotta, il saggio, invece, ascolta il consiglio.” (Pr 12,15) “Sii pronto nell’ascoltare, lento nel proferire una risposta.” (Sir 5,11) “Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira.” (Gc 1,19)

Sembra un paradosso, ma il saper parlare viene dopo il saper ascoltare e il saper ascoltare è preceduto dal silenzio interiore che guida la barca della parola nella quiete dello spirito.
“Dio che ci ha creati, ci ha dato l`uso della parola affinché manifestassimo agli altri i nostri intimi disegni e, grazie alla natura a tutti comune, comunicassimo con gli altri, porgendo i nostri pensieri dal cuore, come da un magazzino. Se fossimo stati composti solamente di anima, avremmo potuto trattare direttamente solo con il pensiero; ma la nostra anima elabora i suoi pensieri nascosta sotto il velo della carne; ha bisogno perciò di parole e nomi per palesare ciò che giace nel suo profondo. Quando il nostro spirito ha trovato un`espressione significativa, subito viaggia nella parola come in una barca; attraversa l`aria e passa da chi parla a chi ascolta. Se trova grande tranquillità e quiete, il discorso entra nelle orecchie dei discepoli come in un porto sicuro; ma se gli si fa incontro, quasi come una tempesta violenta, il chiasso degli uditori, si dissolve nell`aria e fa naufragio. Create, dunque, col silenzio, questa tranquillità per la parola: vi apparirà forse qualcosa di prezioso di cui potrete impossessarvi.” (Basilio il Grande, Omelia “Fa` attenzione a te stesso”, 1)

La capacità di ascolto rende possibile il dialogo tra le persone e le istituzioni. Dopo il Concilio Vaticano II, il dialogo è diventato un impegno ecclesiale, in particolare in ambito ecumenico (dialogo tra le confessioni cristiane) dove l’unità dei cristiani si è fatta urgente per testimoniare al mondo il volto autentico dell’amore trinitario. L’impegno di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI profuso in questi ultimi decenni ci indica la strada per il compimento visibile dell’unità. Uno dei punti di partenza è la capacità d’ascolto che nasce dal silenzio interiore:

Dialogo ecumenico
“Se la preghiera è l’” anima ” del rinnovamento ecumenico e dell’aspirazione all’unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce ” dialogo “. Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico odierno. L’atteggiamento di ” dialogo ” si situa al livello della natura della persona e della sua dignità. Dal punto di vista filosofico, una tale posizione si ricollega alla verità cristiana sull’uomo espressa dal Concilio: egli infatti ” in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa “; l’uomo non può pertanto ” ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé “.
Il dialogo è passaggio obbligato del cammino da percorrere verso l’autocompimento dell’uomo, del singolo individuo come anche di ciascuna
comunità umana. Sebbene dal concetto di ” dialogo ” sembri emergere in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos), ogni dialogo ha in sé una dimensione globale, esistenziale. Esso coinvolge il soggetto umano nella sua interezza; il dialogo tra le comunità impegna in modo particolare la soggettività di ciascuna di esse. Tale verità sul dialogo, tanto profondamente espressa dal Papa Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam suam, è stata assunta anche dalla dottrina e dalla pratica ecumenica del Concilio. Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno ” scambio di doni “.” (Enciclica Ut unum sint n.28, Giovanni Paolo II)

I Santi hanno un dono particolare che li caratterizzava; la capacità di accogliere e di ascoltare. Un dono sbocciato dall’incontro con Gesù e la Madonna. In silenzio, ascoltavano e pregavano, e quando parlavano centravano il cuore del problema, senza sprecare parole…

Un silenzio di carità davanti alle offese ricevute

“I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: “Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te? “. Ma Gesù taceva. (Mt 26,59-63)

E’ impossibile tacere quando ci insultano o ci provocano se non siamo disposti a contemplare il silenzio di Gesù davanti ai persecutori. Lui che è la Parola, il Verbo fattosi carne, tace! Gridando il suo amore per i nemici, per tutti i peccatori, per tutti noi. Se siamo abituati a cercare il conforto e l’amicizia dagli altri e non dal Signore Gesù Crocifisso, come reagiremo quando invece della solidarietà riceveremo uno schiaffo? Non basta dimenticare le offese ricevute, che per altro non si scordano, occorre amare nel silenzio e confidare nel Signore e… avanti sulla via del Golgota fino al giorno di Risurrezione dove ogni lacrima sarà asciugata (Ap 7,17), ogni sofferenza si trasformerà in gioia di vita eterna.

“Quando qualcuno ci insulta, ci oltraggia, ci provoca all`ira, ci istiga al litigio, allora esercitiamo il silenzio, non arrossiamo di restare muti. E` un peccatore infatti colui che ci provoca, che ci ingiuria, e desidera che noi ci rendiamo simili a lui. Infatti se taci, se dissimuli, dice, di solito: “Perché taci? Parla, se hai coraggio! Ma non hai coraggio, sei muto: ti ho tolto la parola!”. Dunque, se taci, il suo impeto è rotto: si considera vinto, irriso, disprezzato e illuso. Se rispondi, ritiene di essere stato superiore, perché ha trovato un suo pari. Se taci, si dirà: “Quello ha attaccato litigio, ma questo lo ha disprezzato”. Se invece risponderai alle ingiurie si dirà: “Hanno litigato tutt`e due”. Tutt`e due saranno condannati, nessuno assolto. Per questo egli cerca in ogni modo di irritarmi, perché io parli come lui, agisca come lui; ma il giusto deve dissimulare, deve tacere, deve attenersi al frutto della sua buona coscienza, affidarsi più al giudizio dei buoni che alle recriminazioni insolenti, deve essere contento della propria serietà. Questo è il silenzio dei buoni: chi è conscio della propria rettitudine non deve lasciarsi muovere dalle falsità e non deve stimare più importante l`insulto altrui che la propria testimonianza.” (Ambrogio, I doveri, 1,17-18)

Dalla solidarietà alla comunione. Essere “amici” o cercare di esserlo, solidarizzare, non è il principio fondamentale che ispira la relazione tra i cristiani e di essi con tutti gli uomini. La solidarietà cristiana si fonda sul riflesso della vita intima di Dio-Trinità nell’uomo. Essere tutti chiamati alla comunione con Dio ci chiede di amarci come Lui ci ama; Egli ci ama anche quando siamo peccatori, anzi, ci ama proprio per salvarci dal peccato. Ci ama quando gli siamo nemici, e ci chiede di amare i nemici come Lui li ama, perché “si convertano e tornino a Lui” e non necessariamente perché tornino a noi. I valori umani, come base solidale del convivere umano, sono inglobati e superati da questa nuova prospettiva d’amore:

“La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. […] Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” (1Gv3,16). […] Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola “comunione”.” (Sollicitudo rei socialis n.40 Giovanni Paolo II)

Impariamo dalla moltitudine di santi, che accoglievano tutti, amici e nemici, e per tutti avevano una parola d’amore e di comprensione, o di “parola” fatta di silenziosa preghiera. Non cercavano l’amicizia con tutti, ma nel nome di Gesù e Maria accoglievano tutti con cuore cristiano, con vera semplicità.

Il silenzio non deve mai essere colpevole

Non possiamo tacere davanti alle ingiustizie o quando abbiamo delle responsabilità educative, sociali e morali nei confronti degli altri.

Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen! (1Pt 4,11) E una notte in visione il Signore disse a Paolo: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere. (At 18,9) Tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. (Dt 13,9)

In particolare la responsabilità educativa dei genitore verso i figli deve saper misurare il silenzio per saper ascoltare e le parole per sapersi far ascoltare. Tutto deve incentrarsi sull’ascolto della Parola di Dio, riferimento per tutti i cristiani, piccoli e grandi.

“[…] Vuoi che tuo figlio sia obbediente? Allevalo fin dall`inizio educandolo e ammonendolo nel Signore: non credere che sia inutile per lui ascoltare le divine Scritture; in esse ode anzitutto: “Onora tuo padre e tua madre”; ciò è dunque anche a tuo vantaggio. Non dire: “E` roba da monaci, e non voglio farlo monaco”. Non è necessario che diventi monaco; ma perché temi tanto ciò che porta tanto guadagno? Fallo cristiano. Soprattutto a chi vive nel mondo è necessario conoscere gli insegnamenti della Scrittura, e soprattutto ai giovani. In quell`età c`è molta stoltezza, e la stoltezza aumenta ancora per gli scritti dei pagani, quando i fanciulli imparano ad ammirare come eroi quegli uomini, schiavi dei piaceri e timorosi della morte. […] Proprio per questo c`è bisogno delle sacre Scritture come antidoto. […] Di fronte alla cura per i figli, e allevarli educandoli e ammonendoli nel Signore, tutto sia per noi secondario! Se fin dall`inizio insegni al bimbo ad esser saggio, egli acquista la ricchezza più grande di ogni altra, e la gloria più valida. Non fai per lui tanto insegnandogli un`arte, un mestiere terreno con cui acquistare denaro, quanto se gli insegni l`arte di disprezzare il denaro. Se vuoi farlo ricco, agisci così. E` ricco non chi usa molti soldi ed è circondato di tutto, ma chi non ha bisogni; questo insegna a tuo figlio, così educalo: questa è la ricchezza più grande. Non cercare di renderlo celebre, di farlo diventare illustre nelle scienze terrene, ma preoccupati di insegnargli a disprezzare la gloria di questa vita: in questo modo diventerà più splendido, più venerato. Lo possono fare sia il ricco sia il povero; non lo si impara da un maestro o con un`arte, ma dalle parole divine. Non preoccuparti che abbia una vita lunga, ma che raggiunga lassù la vita immortale, la vita senza fine”. (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini 21,1-2)

Non dobbiamo rimanere in silenzio di fronte al disprezzo della vita, dal suo concepimento al suo termine naturale. Non dobbiamo avere paura di parlare per difendere la vita, se timore dobbiamo averne è quello di rimanere in un silenzio colpevole e complice del male.

“[….] Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati. Se alla Chiesa, sul finire del secolo scorso, non era consentito tacere davanti alle ingiustizie allora operanti, meno ancora essa può tacere oggi, quando alle ingiustizie sociali del passato, purtroppo non ancora superate, in tante parti del mondo si aggiungono ingiustizie ed oppressioni anche più gravi, magari scambiate per elementi di progresso in vista dell’organizzazione di un nuovo ordine mondiale. La presente Enciclica, […] vuole essere dunque una riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, ed insieme un appassionato appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità! […] Né ci è lecito tacere di fronte ad altre forme più subdole, ma non meno gravi e reali, di eutanasia. Esse, ad esempio, potrebbero verificarsi quando, per aumentare la disponibilità di organi da trapiantare, si procedesse all’espianto degli stessi organi senza rispettare i criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore”. (Enciclica Evangelium Vitae n.5 e n.15 Giovanni Paolo II)

E’ con la vita e con l’esempio che il cristiano rende efficace la sua parola, perché la testimonianza è una voce che scuote le coscienze, che rompe il silenzio di fronte alle ingiustizie diventate e percepite come la “normalità”.

Pregare il Rosario nel Mistero del silenzio

Nei misteri del rosario si medita la vita di nostro Signore con gli “occhi” e in compagnia della Vergine Maria. Ma vi è un mistero non scritto, non proclamato, che è il Mistero del Silenzio. E’ importante nelle nostre preghiere, e in particolare nelle preghiere vocali come il Rosario, riscoprire il sacro silenzio dove l’incontro con Dio ci apre a contemplare il mistero del suo operare e agire nelle anime, nel mondo, nella Chiesa. Non tutto possiamo capire quello che il Signore opera nella nostra vita e in quella degli altri, ma tutto quello che Egli fa, in silenzio, possiamo amare! Come Maria.

Ma nessuno riflette su queste cose; al suo modo di agire chi ci bada? Anche la bufera che nessuno contempla, e la maggior parte delle sue opere, sono nel mistero. (Sir 16,20-21)

O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?O chi mai è stato suo consigliere? (Rom 11,33-34)

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. (Lc 10,21)

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. (1Cor 13,2)

Il Mistero dell’amore di Dio non si comprende con le parole ma nel silenzio della voce e dei pensieri per giungere al cuore della preghiera; lasciarsi amare è amare colui che è Amore.

Pensare incessantemente a Dio è cosa davvero pia e l`anima che ama il Signore non se ne sazia mai. Temerario, invece, è il tentativo di spiegare a parole ciò che lo riguarda. La nostra intelligenza è infatti lontanissima da quelle cose così sublimi e il discorso, per di più, esprime in modo oscuro e impreciso quanto riesce a comprendere. E allora, se veramente la grandezza di una simile verità è tanto al di sopra del nostro intelletto e la nostra capacità di esprimerci è a sua volta inferiore all`intelletto stesso, cos`altro fare se non tacere? […] Anzi, quanto più si conosce, tanto più si avverte la propria debolezza. (Basilio il Grande, Omelia sulla fede, 1)

La fede umile e operosa di Maria non è appariscente, non si fa notare e non cerca il consenso dei pensieri e delle parole degli altri. Si abbandona quotidianamente nell’atto di fede, che la mette in contatto ineffabile con il Mistero della vita divina.

Durante gli anni della vita nascosta di Gesù nella casa di Nazareth, anche la vita di Maria è “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3) mediante la fede. La fede, infatti, è un contatto col mistero di Dio. Maria costantemente, quotidianamente è in contatto con l’ineffabile mistero di Dio che si è fatto uomo, mistero che supera tutto ciò che è stato rivelato nell’Antica Alleanza. Sin dal momento dell’annunciazione, la mente della Vergine-Madre è stata introdotta nella radicale “novità” dell’autorivelazione di Dio e resa consapevole del mistero. Ella è la prima di quei “piccoli”, dei quali Gesù dirà un giorno: “Padre, … hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). […] La madre di quel Figlio, dunque, memore di quanto le è stato detto nell’annunciazione e negli avvenimenti successivi, porta in sé la radicale “novità” della fede: l’inizio della Nuova Alleanza. […] Non è difficile, però, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di “notte della fede” – per usare le parole di san Giovanni della Croce -, quasi un “velo” attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. (Redemptoris Mater n.17)

La Madonna, donna di fede, non cercava sicurezza o conferme dalle parole di coloro che gli vivevano accanto; la sua forza scaturiva dall’incontro con il Mistero di Dio, per questo amava e cercava il silenzio.

Il silenzio è la via per ascoltare

Il silenzio delle parole e dei pensieri ha lo scopo di dare spazio “alle orecchie del cuore”; uno rivolto a Dio con il desiderio di ascoltarlo e l’altro orecchio rivolto a se stessi per conoscersi sempre più profondamente, per camminare nella verità e svelare ogni falsità che ci raccontiamo da noi stessi.

Se non siete capaci di scorgere il fondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri o comprendere i suoi disegni? (Gdt 8,14) Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita. (Sal 139,23-24)

Tante parole che diciamo sono davvero superflue e inutili. L’anima nostra segue i nostri pensieri e se i pensieri sono banali il cuore svolazza come le foglie al vento; se i pensieri sono pesanti il cuore va a fondo come una pietra nel mare.

Chi si lascia andare a discorsi dannosi, è completamente fuori di strada. La mente umana è come l`acqua, la quale, se è chiusa in un recipiente, può essere tirata su verso il cielo dal quale era piovuta, ma se la si versa, va perduta, scorrendo inutilmente verso il basso. Ogni parola inutile che rompa la vigilanza del silenzio, è come uno spiraglio che disperde l`anima fuori di sé. Così non riesce più a tornare alla cognizione di se stessa, perché, dispersa all`esterno col molto parlare, non ha più la forza di riflettere su di sé. Si espone tutta intera alle insidie e alle ferite del nemico, dal momento che non si circonda più di nessuna difesa […]. La mente è come una città esposta ai colpi del nemico, perché non è protetta dal muro del silenzio; quando col suo parlare esce fuori di sé, si espone senza riparo all`avversario, che la vince senza fatica appunto perché essa stessa combatte contro di sé.[…] Quando il silenzio è solo nel parlare e non nei pensieri gli effetti negativi rimangono: Spesso infatti, col nostro silenzio esagerato, dobbiamo soffrire in cuore una grave loquacità di pensieri, che ribolliscono con tanta più violenza, quanto più restano stretti dal nostro indiscreto tacere; e spesso prendono più campo appunto perché sono sicuri che nessuno li può riprendere dall`esterno. Così qualche volta la mente insuperbisce del suo silenzio e guarda come imperfetti quelli che sente parlare. Mentre tiene chiusa la bocca del corpo, non si rende conto che coll`insuperbire apre la porta ai vizi. Infatti frena la lingua, ma lascia libere le redini ai pensieri; colla sua negligenza non bada a sé, e intanto accusa gli altri con molta libertà appunto perché molto in segreto. (Gregorio Magno, Commento a Giobbe, 7,57-61)

Molti cristiani non hanno una vita spirituale e vivono la vita ne più ne meno come quelli che non credono, affannati per ogni cosa, nervosi e oppressi in ogni frangente. Per chi, travolto dagli eventi quotidiani, fa fatica a pregare ed è lontano da un constante cammino di fede, il Papa Paolo VI che ha preceduto Giovanni Paolo I, suggerisce due parole chiave: la prima è “orientamento” che significa rivolgere lo sguardo verso Dio;

L’altra parola, che suggeriamo per una simile condizione spirituale, sembra una contraddizione, ma è un semplice e ragionevole paradosso; ed è la parola silenzio. Per cogliere qualche cosa del problema religioso abbiamo bisogno di silenzio; di silenzio interiore, il quale reclama forse anche un po’ di silenzio esteriore. Silenzio: vogliamo dire pausa di tutti i rumori, di tutte le impressioni sensibili, di tutte le voci, che l’ambiente impone alla nostra ascoltazione, e che ci rende estroflessi, ci fa sordi, mentre ci riempie di echi, d’immagini, di stimoli, che, volere o no, paralizzano la nostra libertà interiore, di pensare, di pregare. Silenzio qui non vuol dire sonno: vuol dire, nel caso nostro, un colloquio con noi stessi, una riflessione tranquilla, un atto di coscienza, un momento di solitudine personale, un tentativo di ricupero di se stessi. Diremo di più: daremo al silenzio la capacità di ascoltazione. Ascoltazione di che cosa? di chi? Non possiamo dire; ma sappiamo che l’ascoltazione spirituale lascia percepire, se Dio ce ne fa grazia, la sua voce, quella sua voce, che subito si distingue per dolcezza e per vigore, per parola sua, di Dio. (PAOLO VI Udienza Generale, 5 dicembre 1973)

La Madonna ci chiama a pacificare il nostro cuore per ascoltare il Figlio suo. Dove c’è agitazione dei pensieri e abbondanza di parole superflue non c’è spazio per la “voce” di Dio.

Il silenzio per ascoltare la Parola di Dio.

Dio ci parla quando facciamo silenzio, Egli non si sovrappone al nostro vociare, attende che ci mettiamo in ascolto; il silenzio nel nostro cuore è la pagina bianca dove Dio scrive la sua Parola

Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male. (Qo 4,17)

Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici. (Ger 7,23)

Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! “. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! “. (Lc 11,27-28)

C’è una grande differenza tra le parole degli uomini e la Parola di Dio. Il Verbo è la Parola di Dio agli uomini; il comunicarsi e rivelarsi di Dio nella carne, nel farsi uomo per parlare da uomo.

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Anche noi, quando parliamo, diciamo delle parole. Forse che a tali parole è simile questo Verbo che era presso Dio? Le parole che noi diciamo echeggiano un istante nell`aria, e poi svaniscono. Diremo allora che anche il Verbo di Dio ha cessato di esistere, non appena è stato pronunciato? Ma come allora tutto è stato fatto per mezzo di lui, e niente senza di lui? In che modo è retto da lui ciò che da lui è stato creato, se il Verbo non è che un suono che viene meno? Che Verbo è, allora, questo che viene detto e poi non passa? La carità vostra presti attenzione; l`argomento lo merita. (Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 1,8)

Ascoltare la Parola di Dio significa ascoltare Gesù per mettere in pratica i sui insegnamenti. Il nostro silenzio deve predisporci ad incontrare Gesù nella sua Parola trasmessaci dai Vangeli.

Nella sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l’ammirabile condiscendenza della eterna Sapienza, ” affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità di Dio e a qual punto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia adattato il suo parlare). Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo. (Dei Verbum 13)

La conoscenza della Verità su Dio e sull’uomo è rivelata dalla vita, dalle opere e dalle parole di Gesù; egli stesso ha scelto gli Apostoli perché la trasmettessero a tutti gli uomini e la custodissero tale e quale lungo i secoli:

La parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16), si presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo Testamento. Quando infatti venne la pienezza dei tempi (cfr. Gal 4,4), il Verbo si fece carne ed abitò tra noi pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14). Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, nonché con l’invio dello Spirito Santo. Elevato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32 gr.), lui che solo ha parole di vita eterna (cfr. Gv 6,68). Ma questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti nello Spirito Santo (cfr. Ef 3,4-6, gr.), affinché predicassero l’Evangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa. Di tutto ciò gli scritti del Nuovo Testamento presentano una testimonianza perenne e divina. (Dei Verbum 17)

Tutti i messaggi mariani, nei vari luoghi dove si è manifestata la presenza e l’opera della Madonna, non aggiungono nulla alla Rivelazione di Dio in Cristo Gesù e per volontà divina trasmessa dalla Chiesa Cattolica. I messaggi vanno letti come dei segnali che indicano la strada principale e sicura per giungere con certezza alla meta della vita eterna.