La “porta” del Regno è Gesù Cristo

La Chiesa, sul fondamento degli Apostoli, riconosce in Gesù Cristo il Re Messia promesso dal Padre per mezzo dei profeti e inviato nel mondo nella pienezza dei tempi, al quale è stato affidato il potere e il compito della nostra salvezza.

“Il Messia che instaura il Regno di Dio e vince le potenze del mondo, è il Verbo generato dal Padre prima di ogni creatura, prima dell’aurora, il Figlio incarnato morto e risorto e assiso nei cieli, il sacerdote eterno che, nel mistero del pane e del vino, dona la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio, il re che solleva la testa trionfando sulla morte con la sua risurrezione” (Benedetto XVI, Udienza generale del 16 novembre 2011).

Conservando la sua divinità, Cristo si è fatto uomo per noi e risorgendo dai morti dopo la sua Passione, ci ha aperto la via del cielo.

“Il Dio che è felicità e sorgente di felicità, partecipando alla nostra umanità, ci ha offerto il mezzo più rapido per partecipare alla sua divinità. Liberandoci infatti dalla mortalità e dalla infelicità, Egli non conduce gli uomini presso gli angeli immortali e felici, perché, associandosi ad essi diventino come loro, ma li conduce a quella Trinità la cui partecipazione è causa di felicità per gli angeli stessi. Quando perciò, come un servo, Egli volle essere inferiore agli angeli per essere mediatore, rimase superiore a loro come Dio stesso; Egli che in alto era la vita volle essere in basso la via verso la vita” (S. Agostino, La città di Dio IX, 15,2).

In quanto “unico mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tim 2,5) Cristo Gesù è la porta del regno dei cieli che bisogna attraversare per giungere alla salvezza:

“In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo” (Gv 10,7-9).

Entrare nel regno di Dio attraverso la porta, significa per noi accogliere nella fede la persona e l’insegnamento di Cristo, Parola di Dio fatta carne, e il suo invito alla conversione:

“Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). (Benedetto XVI, Lettera Apostolica, Porta fidei, 1).

Gesù è la via per instaurare il Regno di Dio

Con la sua vita e con le sue parole Gesù ha tracciato la strada che porta al Regno di Dio. Nella sua umanità, che è inseparabile dalla sua divinità, si può vedere la salvezza a cui ogni uomo è chiamato.

“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. […] Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gesù rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi vede me vede il Padre” (Gv 14,6-9).

Quando Gesù dice di se stesso di essere la via della salvezza, intende che Egli è anche l’unica via di salvezza per tutto il genere umano. È grazie a Lui che gli uomini possono ricevere il perdono ed è solo in Lui che possiamo partecipare alla vita divina.

Questa via dunque non è di un solo popolo, ma di tutti i popoli; la legge e la parola del Signore non rimasero in Sion e in Gerusalemmme, ma di lì avanzarono per diffondersi in tutto il mondo… Questa via purifica tutto l’uomo e sebbene mortale lo dispone all’immortalità… Fuori di questa via, che mai è mancata al genere umano, né prima quando questi fatti si attendevano come futuri, né poi quando si rivelarono come passati, nessuno fu liberato, nessuno è liberato, nessuno sarà liberato” (S. Agostino, La città di Dio, X,32.2).

Seguire la via percorsa da Gesù non vuol dire soltanto abbandonare il peccato, ma soprattutto guardare a Lui per imitare le virtù che Egli ha praticato, specialmente durante la sua passione, e per imparare a compiere con docilità e fortezza la volontà di Dio, che comporta la rinuncia all’amore di sé per poter amare con cuore libero da ogni affetto disordinato:

Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,24-25)

In Cristo, la sofferenza e la morte vengono trasfigurate dall’amore e diventano la via sulla terra che conduce alla beatitudine del Cielo. Chi segue la via tracciata da Gesù, non pensa solamente alla vita terrena, ma sa che perseverando nell’offerta quotidiana della propria vita a Dio giungerà a partecipare della risurrezione di Cristo per la vita eterna.

“Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme (Cf 1Pt 2,21), ma ci ha anche aperto la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22).

Gesù è la verità

Davanti a Pilato, che sta per condannarlo a morte, Gesù confessa di essere il re dei giudei e aggiunge: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 19,37).

Gesù è verità su Dio e sull’uomo. La sua vita e le sue parole ci fanno conoscere il vero volto del Padre, misericordioso e giusto, e ci rivelano la nostra natura creata ad immagine e somiglianza di Dio per amare in Lui e con Lui, partecipando così alla sua vita divina.

«In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22).

La verità che Cristo ci insegna e ci comunica attraverso il dono dello Spirito Santo non riguarda solo la nostra ragione, ma si estende alla dimensione etica, illumina la mente e dona forza al cuore, per conoscere il bene da compiere con l’aiuto della grazia di Dio per giungere alla vita eterna.

«Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. […] In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8,31-36).

La libertà dei figli di Dio non è assenza di riferimento a verità fondamentali, ma è libertà dal peccato e dalle sue conseguenza per vivere nell’amore che Cristo ci ha insegnato ed ha testimoniato con  il dono della sua vita.

«Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme “Agápe” e “Lógos”: Carità e Verità, Amore e Parola». (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 3)

Gesù è la vita

Sulla croce Gesù ha offerto liberamente la sua vita – il suo corpo e il suo sangue – per i peccati degli uomini, e questo suo sacrificio è diventato fonte della vita eterna. La sua morte ci giustifica dalle nostre colpe e ci merita il perdono del Padre celeste che ci ristabilisce pienamente nella relazione di amore con la Santissima Trinità.

Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in pienezza, in abbondanza (cfr Gv 10,10), ci ha anche spiegato che cosa significhi «vita»: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora «viviamo». (Benedetto XVI, Spe salvi, 27).

Gesù, risorto dai morti con il suo vero corpo, ci lascia intravedere che Egli possiede la vita eterna e vuole che tutti gli uomini si uniscano a Lui nella carità per riceverla il dono.

Nessuno muore se non a motivo di Adamo, e nessuno viene alla vita se non per mezzo di Cristo. E’ perché siamo nati che ci ha colti la morte, ed è perché egli vive che noi vivremo: morimmo a lui quando volemmo vivere per noi; ma siccome lui è morto per noi, vive per sé e per noi. Perché, dunque, egli vive, anche noi vivremo. […] In quel giorno, dunque, quando vivremo quella vita in cui la morte sarà stata assorbita, conosceremo che egli è nel Padre, e noi in lui e lui in noi; perché allora giungerà a perfezione quanto per opera sua è già cominciato: la sua dimora in noi e la nostra in lui. (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 75,3-4).

Nel santo sacrificio della Messa, Cristo viene a noi, con il suo corpo e il suo sangue, per introdurci fin da ora nella piena comunione con il Padre nello Spirito Santo. Quando ci uniamo a Cristo nella Santa Eucaristia già partecipiamo della vita eterna, per quanto la nostra umanità è in grado di riceverla e il nostro cuore purificato per «vedere» Dio.

“Io sono il pane della vita. […] Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno“ (Gv 6,48-54)

I segni del regno: le guarigioni

I miracoli e le guarigioni che hanno sempre accompagnato l’annuncio del Vangelo sono un aiuto che Dio ci offre per credere più facilmente alle parole di Cristo e per accogliere il regno di Dio che Egli è venuto a portarci.

Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20,30)

Il Vangelo narra molte guarigioni straordinarie compiute da Gesù durante la sua vita pubblica; esse sono il segno che le promesse di Dio fatte per mezzo dei profeti si stanno realizzando e che Gesù Cristo è il Messia, mandato da Dio per salvare tutti gli uomini:

In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me! ” (Lc 7,21-23)

La salvezza che Cristo è venuto a portare non riguarda soltanto il corpo, ma si estende anche all’anima che deve essere guarita dalle ferite del peccato.

Che cosa è più facile: dire al paralitico: “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire: “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, “dico a te – disse al paralitico – alzati, prendi la tua barella e và a casa tua”. Quegli si alzò, e subito, presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò (Mc 2,9-12).

Anche oggi nella Chiesa Dio continua ad operare guarigioni per sostenere la nostra debole fede, per aiutarci a sperare nella sua salvezza e suscitare un amore più intenso e più vivo nei suoi confronti e per questo può servirsi anche della preghiera di intercessione dei santi; al contrario il demonio può compiere apparenti prodigi per farci deviare dalla verità.

A questo punto i pagani diranno che anche i loro dèi hanno compiuto alcuni fatti ammirevoli. […] E tuttavia i miracoli, che si dicono compiuti nei loro templi, in nessun modo si devono confrontare con i miracoli che si compiono nei luoghi consacrati ai nostri martiri. E se alcuni sembrano simili, come i maghi del faraone sono stati superati da Mosè, così i loro dèi sono superati dai nostri martiri. Quelli li compirono i demoni con la presunzione di un’infame superbia con cui vollero essere i loro dèi; compiono invece questi miracoli i martiri, o meglio Dio mediante la loro intercessione e preghiera, affinché se ne avvantaggi la fede, con cui crediamo che essi non sono i nostri dèi, ma che hanno in comune con noi un solo Dio. (S. Agostino, La Città di Dio, XXII,10). 

I segni del regno: liberazioni

Tra i segni che danno piena testimonianza della venuta della salvezza e della instaurazione del Regno di Dio nel mondo, vi sono le liberazioni degli indemoniati che Gesù compie con la potenza della sua Parola e l’autorità della sua natura divina.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. […] Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano (Mc 1,32-34). Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. (Mt 12,28)

Il Figlio di Dio è venuto nel mondo per liberare l’uomo dal potere di satana (cf At 18,38), che dopo il peccato originale continua ad esercitare subdolamente la sua influenza non solo sul corpo, ma con la tentazione anche sull’anima dei figli di Adamo, ostacolando loro l’accesso al regno dei cieli.

Gesù Cristo venne per liberare l’uomo dal male del peccato. Questo male fondamentale ha il suo inizio nel “padre della menzogna” (come si vede già nel libro della Genesi) (cf. Gen 3, 4). Per questo la liberazione dal male del peccato, operata sino alle sue stesse radici, deve essere la liberazione verso la verità e per mezzo della verità. Gesù Cristo rivela questa verità. Egli stesso è “la verità” (Gv14, 6). Questa verità porta con sé la vera libertà. È la libertà dal peccato e dalla menzogna. […] Nessun cambiamento puramente esteriore delle strutture porta a una vera liberazione della società, sino a quando l’uomo è sottomesso al peccato e alla menzogna, fino a quando dominano le passioni, e con esse lo sfruttamento e le varie forme di oppressione. (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 3 agosto 1988).

La presenza e l’azione di satana non sono una scusante per la nostra responsabilità, ma un incentivo a ricorrere all’aiuto del Signore nella lotta al peccato, confidando non nelle nostre forze, ma nella grazia sovrabbondante di Dio.

Certamente satana ha l’astuzia per persuadere. E, se satana parlasse e Dio tacesse, potresti avanzare una qualche scusa; le tue orecchie però si trovano tra Dio che ammonisce e il serpente che suggerisce. Perché si tendono verso il serpente e si chiudono a Dio? Satana non cessa di insinuare il male, ma neppure Dio cessa mai di consigliarti il bene. Né satana ha il potere di costringerti contro la tua volontà: è in tuo potere consentire o non consentire a lui. Se hai commesso qualcosa di male, anche per istigazione di satana, lascia stare satana ed accusa te stesso, per potere meritare, accusandoti, la misericordia di Dio. Cerchi di accusare chi non può conseguire il perdono? Accusa te stesso e sarai perdonato. (S. Agostino, Commento al Salmo 91,3).

Cristo Re del regno del Padre

L’iniziativa di estendere il regno della carità nel mondo proviene dalla volontà del Padre Celeste che affida al suo Figlio Unigenito il potere di riconciliare il cielo e la terra.

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà […] il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. (Ef 1,3-6.10)

La regalità di Cristo, quindi, non è una regalità di possesso, ma di servizio, in cui la volontà del Padre è messa al primo posto ed è perseguita con assoluta fedeltà e dedizione, affinché si realizzi il disegno di salvezza per tutti gli uomini.

Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. […] Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,24-28).

Il regno di Dio si compirà in pienezza quando tutti gli uomini, giustificati dalla grazia di Cristo e uniti a Lui nella carità, potranno finalmente contemplare il volto del Padre che risplenderà in essi ad immagine del Figlio Unigenito.

Che significa dunque: Quando consegnerà il regno a Dio Padre? Che questi ancora non lo possiede? No, di certo. Significa invece che l’uomo Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, condurrà tutti i giusti, sui quali ora regna, per la loro vita nella fede, a quella contemplazione che lo stesso Apostolo chiama visione a faccia a faccia. Perciò l’espressione: Quando consegnerà il regno a Dio Padre, equivale a quest’altra: “Quando condurrà i credenti a contemplare Dio Padre”. (S. Agostino, La Trinità, I,8,16). 

Non più servi, ma amici del Re

La regalità di Gesù, che esprime la sua grandezza e il suo potere, anziché aumentare la distanza tra noi e Dio, tra la nostra condizione umana e quella divina, tra la miseria del nostro peccato e la santità e la purezza di Cristo, deve condurci a riflettere sulla grazia ricevuta nel Battesimo.

Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. […] Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 15,15-17) 

Non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici – dice il Signore – e, nel Regno dei cieli, Dio sarà come il padrone di casa che, tornando dalle nozze e trovando i suoi servi ancora svegli, si intratterrà con essi per servirli lui stesso.

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cf Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cf Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2).

In Cristo, Dio si fa vicino a noi non per privarci della nostra libertà o per incutere timore e soggezione, ma per farci sentire la sua presenza e aiutarci a conoscere la via della vera liberazione: la libertà di amare in comunione con Dio nella verità e nella gioia, anche in mezzo ai sacrifici e alle molteplici sofferenze che dobbiamo affrontare giorno per giorno. È questo il senso di tutta la rivelazione e dei comandamenti di Dio.

Poiché ci ha dato il potere di diventare figli di Dio (cf. Gv 1, 12), non dobbiamo essere servi, ma figli; e così potremo, in modo mirabile e ineffabile e tuttavia vero, servirlo senza essere servi. Sì, servi quanto al timore casto, che deve guidare il servo destinato ad entrare nella gioia del suo padrone; senza essere servi quanto al timore che deve essere bandito, dal quale è dominato il servo che non resta in casa per sempre. E per essere servi non servi, dobbiamo sapere che questo è grazia del Signore. […] Non siamo noi infatti, ma è lui che ci fa essere non soltanto uomini, ma anche giusti (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 85,3). 

Padre nostro… venga il tuo regno

Nella preghiera che Gesù ci ha insegnato come modello di ogni preghiera, che cosa chiediamo quando diciamo: “Venga il tuo regno”?

Il regno di Dio è prima di noi; si è avvicinato nel Verbo incarnato, viene annunciato in tutto il Vangelo, è venuto nella Morte e Risurrezione di Cristo. Il Regno di Dio viene fin dalla santa Cena e nell’Eucaristia, esso è in mezzo a noi. Il Regno verrà nella gloria allorché Cristo lo consegnerà al Padre suo. (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2816)

Anche se il regno di Dio si compirà definitivamente alla venuta finale di Cristo, non chiediamo tanto di anticipare il giorno del giudizio, quanto che il Signore ci renda degni di partecipare fin da ora della vita di Cristo. Spiega San Cipriano:

In verità quand’è che Dio non regna? O quand’è che in Lui, che sempre fu e sempre sarà, una cosa comincia ad essere? Noi chiediamo che venga a noi il regno, promesso da Dio, acquistato con la passione di Cristo, affinché noi, che fummo schiavi del secolo, regniamo poi con Cristo dominatore, secondo la sua promessa: Venite, benedetti del Padre mio. Ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34). (S. Cipriano di Cartagine, De oratione dominica, 13).

La venuta del regno di Dio comporta la lotta al peccato, ad ogni forma di egoismo, di ingiustizia, di malvagità, di violenza, di impurità, di menzogna perché in noi dimori lo Spirito Santo.

Solo un cuore puro può dire senza trepidazione alcuna: “Venga il  tuo regno”. Bisogna essere stati alla scuola di Paolo per dire: “Non regni più dunque il peccato nel nostro corpo mortale” (Rm 6,12). Colui che nelle azioni, nei pensieri, nelle parole si conserva puro, può dire a Dio: “Venga il tuo regno”. (San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche, 5,13)

Questa preghiera è espressione dell’amore che intercorre tra lo Sposo, Cristo, e la sposa, la Chiesa, e manifesta l’ardente desiderio di incontrare Colui che è al centro della nostra speranza e che ogni anima retta attende con gioia.

Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie. L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: «Vieni» (Ap 22,17a). È  come la «sposa» che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. […] «Amen. Vieni, Signore Gesù». (Benedetto XVI, Udienza generale, 12 settembre 2012). 

Gesù Nazareno Re dei Giudei (I.N.R.I.)

Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei”. Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho scritto” (Gv 19,1-3;21-22).

La Croce è il trono regale dal quale Cristo esercita il suo ministero di salvezza per gli uomini, manifestando la sublime regalità di Dio Amore. Dalla Croce Gesù domina con la carità, attirandoci a Dio, perché avendo dato la sua vita per i peccatori, ha il potere di riconciliare tutti gli uomini col Padre.

“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28,18). […] è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. (Benedetto XVI, Angelus 22 novembre 2009)

Nella condanna a morte sulla Croce di Gesù, si rende manifesta la verità di Cristo Re-Messia, annunciato dai profeti e mandato dal Padre per la salvezza, non solo dei Giudei, ma di tutti coloro che accolgono la sua parola di verità e di amore. 

Cristo dunque è il re dei Giudei, ma dei Giudei circoncisi nel cuore, secondo lo spirito e non secondo la lettera; è il re di coloro che traggono la loro gloria non dagli uomini ma da Dio (cf. Rm 2, 29), che appartengono alla Gerusalemme che è libera, che è la nostra madre celeste, la Sara spirituale che scaccia la schiava e i figli di lei dalla casa della libertà (cf. Gal 4, 22-31). (S. Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, 117,5)

Ognuno di noi è libero di accogliere il regno di Dio e di acconsentire a che il peccato sia definitivamente vinto in noi con la grazia che proviene dalla Croce di Cristo.

La via per giungere a questa meta è lunga e non ammette scorciatoie: occorre infatti che ogni persona liberamente accolga la verità dell’amore di Dio. Egli è Amore e Verità, e sia l’amore che la verità non si impongono mai: bussano alla porta del cuore e della mente e, dove possono entrare, apportano pace e gioia. Questo è il modo di regnare di Dio . (Benedetto XVI, Angelus 26 novembre 2006)

Maria Regina

Alla regalità di Cristo Gesù partecipano tutti i battezzati, in quanto membra del suo Corpo Mistico, la Chiesa, ma in modo particolare vi partecipa la Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, che da secoli è invocata nella Chiesa come Regina.

La Vergine immacolata, preservata immune da ogni macchia di colpa originale finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo e dal Signore esaltata quale Regina dell’universo per essere così più pienamente conforme al figlio suo, Signore dei signori (cfr. Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte. (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 59)

La regalità di Maria Santissima si fonda su due principali motivi. Ella è la Madre del Re celeste, colei che ha dato alla luce il Re Bambino e in quanto tale non può che essere Regina.

Inoltre, in Maria, per prima e più che in tutte le altre creature, si sono realizzate le parole di Gesù:

“A voi che avete perseverato con me nelle prove, io preparo un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno, e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele” (Lc 22,28-30). 

In Maria, il privilegio di essere Madre di Dio si accompagna alla virtù della perseveranza nella prova che ha fatto di lei la Corredentrice nell’opera della salvezza.

“Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium,  61).

La Beata Vergine Maria può essere invocate Regina e Madre di misericordia, perché intercede per noi presso il trono regale di Cristo, come Regina Sposa e Madre di Colui che governa il mondo con sapienza ed amore ed ha in mano i destini dell’Universo.

Maria è Regina perché associata in modo unico al suo Figlio, sia nel cammino terreno, sia nella gloria del Cielo. […] Partecipa alla responsabilità di Dio per il mondo e all’amore di Dio per il mondo. […] Come esercita Maria questa regalità di servizio e amore? Vegliando su di noi, suoi figli: i figli che si rivolgono a Lei nella preghiera, per ringraziarla o per chiedere la sua materna protezione e il suo celeste aiuto, dopo forse aver smarrito la strada, oppressi dal dolore o dall’angoscia per le tristi e travagliate vicissitudini della vita. (Benedetto XVI, Udienza generale 22 agosto 2012)

Andate e annunciate il Regno in tutto il mondo

Dio chiama gli uomini a far parte del suo Regno attraverso l’annuncio del Vangelo fatto dagli Apostoli, perché la Parola di Verità, accolta con fede, produca i suoi frutti di salvezza.

Questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine (Mt 24,14).

Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi sarete testimoni (Lc 24,46-48). 

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (Mt 28,19)

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza piena della verità (cf Tm 2,4). Per questo la Chiesa, in obbedienza al comando del Signore, si è sempre sforzata di annunciare e testimoniare il Vangelo in ogni parte del mondo, senza temere  persecuzioni ed ostilità:

Dapprima la Chiesa si diffuse a partire da Gerusalemme, e poiché moltissimi avevano creduto in Giudea e nella Samaria si allargò anche ad altre nazioni, annunciando il Vangelo coloro che Egli come fiaccola aveva preparato con la parola e acceso con lo Spirito Santo; infatti aveva detto: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”. Perciò per non raggelarsi nel timore, ardevano nella carità. Infine, il Vangelo fu annunciato su tutta la terra non solo grazie a quanti lo avevano visto [Gesù] e udito prima della passione e dopo la risurrezione, ma anche, alla loro morte, per mezzo dei loro successori, tra orribili persecuzioni, diversi tormenti e martiri assassinati, mentre Dio era presente con segni, miracoli e doni dello Spirito Santo. (S. Agostino, La città di Dio, XVIII,50)

Anche oggi il Vangelo deve essere annunciato nella Chiesa con coraggio e fedeltà in tutte le situazioni, sapendo che è meglio obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini:

Il fatto che Gesù chiami alcuni discepoli a collaborare direttamente alla sua missione, manifesta un aspetto del suo amore: […] Conosce i loro limiti, le loro debolezze, ma non li disprezza, anzi, conferisce loro la dignità di essere suoi inviati. […] Gli apostoli non devono essere attaccati al denaro e alla comodità. […] Talvolta saranno respinti; anzi, potranno essere anche perseguitati. Ma questo non li deve impressionare: essi devono parlare a nome di Gesù e predicare il Regno di Dio, senza essere preoccupati di avere successo. Il successo lo lasciano a Dio […] predicando ciò che Dio dice e non ciò che gli uomini vogliono sentirsi dire. E questo rimane il mandato della Chiesa: non predica ciò che vogliono sentirsi dire i potenti. Il suo criterio è la verità e la giustizia anche se sta contro gli applausi e contro il potere umano. (Benedetto XVI, Omelia del 15 luglio 2012)